La nuova direttiva europea sul copyright

Come noto, lo scorso 12 settembre è stata approvata dal Parlamento Europeo in sessione plenaria, la nuova direttiva che fissa le regole sul diritto d’autore nell’Unione Europea. I favorevoli sono stati 438, 226 i contrari e 39 i deputati astenuti. Il testo, che a luglio era stato bocciato dall’aula, aveva dato adito a molte discussioni, dibattiti e controversie al calor bianco tra attivisti, addetti ai lavori, politici, soggetti portatori di interesse a vario titolo. Il terreno di scontro riscuote una cristallina plausibilità dacché la direttiva tenta una complicata mediazione tra attori che operano in un contesto mutevole e quanto mai complesso da “imbrigliare”: la rete Internet.
Il copyright è un istituto che tutela le opere di carattere creativo. La creatività è, per assunto, una entità relativa facente riferimento alla “personale e individuale espressione di un’oggettività”. In tale espressione rientrano la letteratura, la musica, le arti figurative, l’architettura, il teatro, il cinema: in sostanza, una galassia di contenuti che fluiscono (anche e, ormai, soprattutto) attraverso gli intricati canali del web.
È, dunque, facilmente immaginabile la necessità di regolamentare il diritto d’autore nel mercato digitale. Il testo persegue l’obiettivo di aggiornare le regole sul copyright “europeo” che erano (più o meno colpevolmente) ferme al 2001 con la Direttiva 2001/29/CE. La rete, nel frattempo, è diventata una zona franca in cui si è reso sempre più arduo fissare, e far rispettare, regole e procedure. La comunità degli utenti del web deve ancora completare la lunga transizione dal mondo analogico a quello digitale, in cui le leggi obsolete del primo si sono rivelate inadeguate a tenere il passo della rivoluzione tecnologica.
La sfida del diritto d’autore vanta pochi gradi di separazione con quella, di poco precedente, del noto GDPR. Tuttavia, le differenze ci sono e si concentrano sulla natura della materia: la privacy, specie dal punto di vista del privato cittadino, è considerata una sorta di diritto inalienabile e gratuito. Il copyright, dal canto suo, intacca la sfera della libertà di fruire di un bene senza pagare alcunché e, come tale, si presta alle più feroci detrazioni; peraltro, stante l’attuale confusione, non è detto che quello che non è ancora vietato, sia veramente lecito.
In Internet, il bene per antonomasia, cioè l’informazione, rende poco in termini economici: un creatore di contenuti può percepire una manciata di centesimi di euro dalle pubblicità online. Questo genera un circolo vizioso che conduce all’abbassamento della qualità motivato dalla rapidità della produzione per “fare volume” o dalla sponsorizzazione da parte di enti o aziende la quale, spesso, non è garanzia di obiettività e terzietà. D’altronde gli editori, per far fronte ai costi, non possono che adottare simili strategie. In siffatto contesto è, inoltre, facile diffondere fake news, altra complessa questione, assieme a quella dell’autorevolezza delle fonti, che meriterebbe una trattazione a parte.
Uno dei nodi del dibattito riguarda gli articoli 11 e 13 della direttiva: il primo cerca di stabilire un nuovo rapporto di forza tra le grandi piattaforme online (Google, Facebook, Youtube etc.) e gli editori che lamentano lo sfruttamento dei propri contenuti all’interno dei loro servizi elargendo compensi inadeguati. Dal canto loro, i motori di ricerca e i social sostengono di fare già ampiamente gli interessi degli editori, dato che il traffico di questi ultimi proviene in grande parte dalle anteprime pubblicate dalle piattaforme (si pensi alle preview degli articoli su Google o al Newsfeed di Facebook).
In medio stat virtus, diremmo, ma l’articolo 11, per come è stato emendato, sembra continuare a favorire gli editori. D’altro canto, un eventuale paventato disimpegno delle piattaforme finirebbe per svantaggiare sensibilmente le piccole realtà editoriali.
L’articolo 13 suscita, invece, molte perplessità rispetto alla libera circolazione dei contenuti in rete. In particolare, dispone che le piattaforme esercitino un controllo su quanto viene caricato dai loro utenti per evitare la pubblicazione di contenuti protetti dal diritto d’autore. Si profila, insomma, la redazione di accordi tra fornitori di servizi online e case di produzione editoriali, discografiche e cinematografiche per dotare i primi di una licenza che consenta loro di ospitare contenuti coperti da copyright. La preoccupazione dei critici è che i fornitori debbano acquisire un sistema simile al “Content ID” utilizzato da Youtube per inibire il caricamento di video che violino il diritto d’autore. Questa tecnologia, oltre ad avere costi per molti proibitivi, è ancora imperfetta, avendo portato talora alla censura arbitraria di alcuni contenuti.
Di più: resta il tema insoluto dell’armonizzazione alla direttiva di ciascun regolamento nei singoli stati membri dell’Unione.
Insomma, il testo lascia aperti grandi interrogativi e diversi scenari, incluso quello di una beffarda eventuale marcia indietro entro la votazione definitiva prevista per gennaio 2019, data nella quale la direttiva dovrebbe divenire, finalmente, legge. Oppure no.

 

FRANCESCO PALOZZO

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