Ambush Marketing: il lato oscuro della visibilità

Nel mondo dello sport, in particolare durante eventi di risonanza mondiale come le Olimpiadi, i Mondiali o le Coppe internazionali, si verificano talvolta episodi di ambush marketing. Il termine, di origine anglosassone, indica l’associazione non autorizzata di un marchio a un grande evento, senza aver sottoscritto alcun contratto di sponsorizzazione ufficiale. In altre parole, è un tentativo di ottenere visibilità sfruttando la notorietà dell’evento, eludendo i costi e le regole imposte dagli organizzatori.

Le modalità con cui si manifesta l’ambush marketing sono diverse, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: trarre un vantaggio economico e d’immagine agganciandosi all’evento in modo parassitario, senza alcun titolo legale.
Tradizionalmente, le pratiche di ambush marketing sono state perseguite con strumenti giuridici già noti: la tutela del marchio, la concorrenza sleale e la pubblicità ingannevole. Norme che tutelano il diritto esclusivo degli organizzatori a valorizzare economicamente l’evento; gli sponsor ufficiali, che investono risorse per legare il proprio brand all’evento e il pubblico, che va protetto da messaggi pubblicitari
fuorvianti.

Una svolta normativa si è avuta con la Legge 8 maggio 2020, n. 31, che ha introdotto, all’articolo 10, il divieto esplicito di “pubblicizzazione e commercializzazione parassitaria” in occasione di eventi sportivi o fieristici di rilievo nazionale o internazionale. Sono vietate tutte le attività non autorizzate che puntano a trarre un vantaggio economico o concorrenziale sfruttando la visibilità dell’evento.
La prima applicazione di questa normativa è avvenuta durante Euro 2020, tenutosi nel 2021. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato Zalando SE con una multa di 100.000 euro per una campagna pubblicitaria non autorizzata. Il messaggio, apparso in una piazza di Roma, recitava “Chi sarà il vincitore?” affiancato dal logo Zalando e dalle bandiere dei 24 Paesi partecipanti.

Secondo l’AGCM, si trattava di un illecito accostamento all’evento, configurando un classico caso di ambush marketing. La vertenza è arrivata al giudizio del Consiglio di Stato che con la decisione n. 218 dell’11 aprile 2025 ha confermato la precedente pronuncia e respinto il ricorso proposto da Zalando, richiamando, inter alia, le norme dettate in materia (articoli 10-14) dalla Legge 8 maggio 2020, n. 31.

Va sottolineato che anche prima della legge del 2020, la giurisprudenza italiana aveva già condannato con fermezza queste pratiche.
Il confine tra creatività pubblicitaria e violazione normativa è spesso labile. Per questo, è fondamentale che le imprese valutino attentamente le proprie strategie di comunicazione e marketing in concomitanza con eventi di rilievo. Rispettare le linee guida degli organizzatori e tenere in considerazione i precedenti giurisprudenziali può evitare sanzioni economiche e, soprattutto, danni reputazionali. Tra i primi e più noti casi di ambush marketing riscontrati in occasione di Giochi Olimpici vi è Atlanta 1996 quando Reebok era sponsor ufficiale dell’evento, ma Nike aveva ottenuto altrettanta, se non maggiore, visibilità con una campagna pubblicitaria tramite manifesti e store fuori dagli impianti sportivi. A ciò si era aggiunta la foto di Ben Johnson con le scarpe a marchio Nike usate nelle competizioni vincenti e l’intervista di Linford Christie con lenti a contatto raffiguranti il celebre logo PUMA che avevano contribuito ad aumentare la risonanza mediatica dei rispettivi brand senza utilizzare i canali ‘autorizzati’.

A partire dai Giochi di Sidney 2000, il CIO richiede al paese ospitante di adottare misure ad hoc e/o linee guida per la prevenzione di fattispecie di ambush marketing. Ad esempio, secondo le guideline dettate per Parigi 2024, il cosiddetto ‘advertising generico’ è considerata una pratica promozionale lecita purché la pubblicità mostri un atleta partecipante in associazione ad una immagine non olimpica, si tratti di adv già presente sul mercato da almeno 90 giorni prima dell’inizio dei Giochi e non vi sia aumento di frequenza durante il periodo olimpico.

Sempre secondo le linee guida Parigi 2024, mentre solo i partners ufficiali possono promuovere messaggi di congratulazioni durante il periodo dei Giochi, gli atleti partecipanti possono ringraziare un’azienda non sponsor senza però fare alcun riferimento al miglioramento della performance grazie al contributo tecnico della stessa, evitando endorsement di prodotto e mai utilizzando properties olimpiche. Interessante, infine, richiamare il caso deciso dal Tribunale di Torino con sentenza n. 1102/2022: Basicnet (titolare del marchio KWAY) si era accorta che tra il 14 giugno e il15 luglio 2018, nel video ufficiale della canzone scelta come colonna sonora del campionato del mondo di calcio svoltosi in Russia, il cantante indossava un proprio giubbotto a marchio K- WAY dapprima offuscato e poi del tutto eliminato per iniziativa della F.I.F.A. che intendeva evitare una possibile contestazione relativa ad una presunta condotta di ambush marketing.

L’attrice Basicnet chiedeva, in primo luogo, che venisse riconosciuta la contraffazione del marchio K-Way per violazione da parte delle convenute (F.I.F.A. e SONY Music Entertainment) degli artt. 5, comma 2 e 20, comma 3, cod. prop. ind. e 13, 9 e 17 del RMUE, nonché dell’art. 2598 c.c., avendo l’alterazione del prodotto effettuata da Sony attraverso la cancellazione elettronica del logo K-Way, compromesso lo stile e l’immagine di tale noto marchio. Secondo il Tribunale di Torino, invece, Basicnet non aveva associato il proprio marchio ai Mondiali di Calcio 2018 bensì aveva subito una violazione dei propri diritti di marchio ed un atto di concorrenza sleale.

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